Medico denuncia clandestina: espulsa
di Angela Pederiva
di Angela Pederiva
Primo episodio in Veneto. Il primario: «Il mio collega è stato scorretto»
CONEGLIANO (Treviso) – Era finita a dormire dove le capitava. Qualche volta in stazione, quando le andava meglio da amici. Come la notte in cui s’è sentita male e ha pensato che in ospedale avrebbe ricevuto aiuto. Mai, evidentemente, avrebbe immaginato di trovarvi anche le manette. Allertata da un medico del pronto soccorso di Conegliano, la polizia ha infatti arrestato una nigeriana di vent’anni. Di fatto la prima clandestina, forse al di là delle intenzioni del dottore, ad anticipare in Veneto l’applicazione della norma contenuta nel pacchetto sicurezza attualmente all’esame del Parlamento.
Mantenuto per giorni nel massimo riserbo, l’episodio s’è consumato fra la tarda serata di martedì e la mattinata di mercoledì della scorsa settimana. Vale a dire nel tempo intercorso fra l’accesso della giovane al Santa Maria dei Battuti e la sentenza pronunciata dal tribunale di Treviso. Al suo arrivo al Pronto soccorso del nosocomio coneglianese, la donna ha spiegato di aver avuto un malore mentre si trovava a casa di alcuni connazionali. Dopo essere stata visitata dal medico di turno, intorno all’una, la ragazza sarebbe rimasta in osservazione per un paio d’ore, ottenendo le cure del caso. Ma per tutto quel tempo, l’africana si sarebbe rifiutata di fornire le proprie generalità e non avrebbe fornito ai sanitari alcun documento, che del resto non aveva. A quel punto il medico avrebbe telefonato al 113, riferendo che nell’unità operativa era stata presa in carico una «paziente ignota ».
Il dottore avrebbe motivato la richiesta d’intervento alla forza pubblica con la necessità di identificare la sconosciuta per fugare il rischio di problemi sanitari, riscontrabili ad esempio attraverso una verifica in banca- dati, in quelle circostanze impossibile da effettuare. Comunque sia, il risultato è che in commissariato la nigeriana ha finalmente detto come si chiamava. Dopo averla fotosegnalata e sottoposta all’esame delle impronte digitali, i poliziotti hanno così appurato che la giovane era entrata illegalmente in Italia, con tutta probabilità in uno dei tanti sbarchi a Lampedusa. A carico della donna pendeva infatti un ordine di espulsione emesso dalla questura di Agrigento, evidentemente disatteso. La mattina dopo l’immigrata è stata processata per direttissima.
Davanti al giudice, l’imputata è scoppiata in lacrime, raccontando di essere scappata dalla Nigeria per sfuggire alla morte e di aver voluto cercare nella Marca una seconda possibilità. Al termine dell’udienza, l’extracomunitaria s’è vista però comminare una nuova intimazione a lasciare il territorio nazionale, senza accompagnamento. Chissà, quindi, se nel frattempo la straniera è stata effettivamente espulsa. Di sicuro la vicenda fa discutere, nel Veneto che (col veronese Federico Bricolo, primo firmatario della proposta) ha dato la paternità politica al passo del disegno di legge che prevede l’abolizione del divieto per i medici di denunciare i clandestini. Sconcertato si dice Enrico Bernardi, primario del Pronto soccorso di Conegliano: «Non ne sapevo nulla, approfondirò il caso. Ma se è vero che un collega del mio reparto ha denunciato una paziente perché clandestina, ha avuto un comportamento deontologicamente scorretto, al di fuori delle regole che disciplinano il rapporto tra medici e ammalati. Il giuramento di Ippocrate ha più di duemila anni ed è basato su un fondamento etico ben preciso».
Nella versione moderna, il testo che recitano i neo-medici include infatti la promessa «di attenermi ai princìpi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze» e «di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza». Aggiunge Bernardi: «La paura ingenerata dalla denuncia potrebbe indurre i malati a non ricorrere più alle strutture pubbliche, causando notevoli rischi sul piano dell’igiene e della sanità pubblica. Un’autentica follia ». Più cauto è Angelo Lino Del Favero, direttore generale dell’Usl 7: «Da quanto apprendo, il medico in questione ha agito secondo coscienza, in circostanze che sono tutte da approfondire. Il nostro Ordine ha una posizione precisa in materia, ma allo stato non credo si possano ravvisare violazioni normative. Il problema è che questa donna è risultata clandestina, ma l’esigenza sanitaria era di identificarla».
Mantenuto per giorni nel massimo riserbo, l’episodio s’è consumato fra la tarda serata di martedì e la mattinata di mercoledì della scorsa settimana. Vale a dire nel tempo intercorso fra l’accesso della giovane al Santa Maria dei Battuti e la sentenza pronunciata dal tribunale di Treviso. Al suo arrivo al Pronto soccorso del nosocomio coneglianese, la donna ha spiegato di aver avuto un malore mentre si trovava a casa di alcuni connazionali. Dopo essere stata visitata dal medico di turno, intorno all’una, la ragazza sarebbe rimasta in osservazione per un paio d’ore, ottenendo le cure del caso. Ma per tutto quel tempo, l’africana si sarebbe rifiutata di fornire le proprie generalità e non avrebbe fornito ai sanitari alcun documento, che del resto non aveva. A quel punto il medico avrebbe telefonato al 113, riferendo che nell’unità operativa era stata presa in carico una «paziente ignota ».
Il dottore avrebbe motivato la richiesta d’intervento alla forza pubblica con la necessità di identificare la sconosciuta per fugare il rischio di problemi sanitari, riscontrabili ad esempio attraverso una verifica in banca- dati, in quelle circostanze impossibile da effettuare. Comunque sia, il risultato è che in commissariato la nigeriana ha finalmente detto come si chiamava. Dopo averla fotosegnalata e sottoposta all’esame delle impronte digitali, i poliziotti hanno così appurato che la giovane era entrata illegalmente in Italia, con tutta probabilità in uno dei tanti sbarchi a Lampedusa. A carico della donna pendeva infatti un ordine di espulsione emesso dalla questura di Agrigento, evidentemente disatteso. La mattina dopo l’immigrata è stata processata per direttissima.
Davanti al giudice, l’imputata è scoppiata in lacrime, raccontando di essere scappata dalla Nigeria per sfuggire alla morte e di aver voluto cercare nella Marca una seconda possibilità. Al termine dell’udienza, l’extracomunitaria s’è vista però comminare una nuova intimazione a lasciare il territorio nazionale, senza accompagnamento. Chissà, quindi, se nel frattempo la straniera è stata effettivamente espulsa. Di sicuro la vicenda fa discutere, nel Veneto che (col veronese Federico Bricolo, primo firmatario della proposta) ha dato la paternità politica al passo del disegno di legge che prevede l’abolizione del divieto per i medici di denunciare i clandestini. Sconcertato si dice Enrico Bernardi, primario del Pronto soccorso di Conegliano: «Non ne sapevo nulla, approfondirò il caso. Ma se è vero che un collega del mio reparto ha denunciato una paziente perché clandestina, ha avuto un comportamento deontologicamente scorretto, al di fuori delle regole che disciplinano il rapporto tra medici e ammalati. Il giuramento di Ippocrate ha più di duemila anni ed è basato su un fondamento etico ben preciso».
Nella versione moderna, il testo che recitano i neo-medici include infatti la promessa «di attenermi ai princìpi etici della solidarietà umana, contro i quali, nel rispetto della vita e della persona, non utilizzerò mai le mie conoscenze» e «di curare tutti i miei pazienti con eguale scrupolo e impegno indipendentemente dai sentimenti che essi mi ispirano e prescindendo da ogni differenza di razza». Aggiunge Bernardi: «La paura ingenerata dalla denuncia potrebbe indurre i malati a non ricorrere più alle strutture pubbliche, causando notevoli rischi sul piano dell’igiene e della sanità pubblica. Un’autentica follia ». Più cauto è Angelo Lino Del Favero, direttore generale dell’Usl 7: «Da quanto apprendo, il medico in questione ha agito secondo coscienza, in circostanze che sono tutte da approfondire. Il nostro Ordine ha una posizione precisa in materia, ma allo stato non credo si possano ravvisare violazioni normative. Il problema è che questa donna è risultata clandestina, ma l’esigenza sanitaria era di identificarla».
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