Minima Moralia (unico come il maestro) :-))
Perché è necessario riformare la scuola italiana
Il dibattito sul decreto Gelmini ha raggiunto in queste settimane toni inaccettabili. Sulla scuola non si può fare demagogia ingannando quanti hanno intenzione di studiare, di conseguire un diploma, una laurea o un master.
Nelle piazze, sui media, nelle scuole, sono state sparse ad arte autentiche menzogne da professionisti della disinformazione, il tutto per legittimare forme illegali di contestazione che danneggiano in primo luogo il diritto di tanti giovani di poter fruire del servizio scolastico che lo Stato deve garantire a tutti.
In questi giorni abbiamo sentito di tutto: che si licenzierebbero insegnanti, si abbasserebbe l'obbligo scolastico, si chiuderebbero le scuole di montagna addirittura che le lezioni oltre le 24 ore settimanali sarebbero a pagamento e verrebbero affidate a cooperative private. Abbiamo anche sentito che si abolirebbero le mense scolastiche costringendo i bambini a tornare a casa per il pranzo. Tutto questo è semplicemente falso. Mi atterrò dunque ai contenuti del provvedimento che è stato nella giornata di mercoledì approvato anche in seno al Senato della Repubblica.
Gli obiettivi principali del decreto Gelmini
Due sono gli obiettivi cardine che ispirano l'azione riformatrice della maggioranza di centro-destra: primo, una scuola che dia una formazione di qualità a tutti e per tutti offra una opportunità; secondo, il rispetto dei diritti dei contribuenti che pagano le tasse non per foraggiare velleitarismi veterosindacali ma per avere servizi efficienti.
L'introduzione dell'educazione civica; i voti semplici e chiari al posto di giudizi complessi, spesso confusi o contorti; le riaperture delle graduatorie per gli iscritti al 9° ciclo SSIS che erano stati pregiudicati nella scorsa legislatura, a dimostrazione tra l'altro che il Governo tiene fede agli impegni presi in Parlamento (ricordo qui un ordine del giorno votato in Senato a luglio).
Il decreto ridà valore al voto di condotta che ritorna dunque a responsabilizzare lo studente; lo voglio affermare qui con grande chiarezza: essere contro una valutazione della condotta significa perpetuare le nefaste idee sessantottine che hanno contribuito non poco ad indebolire l'autorevolezza della nostra scuola e dei nostri insegnanti.
La situazione reale della scuola italiana
Le polemiche si sono concentrate soprattutto sul cosiddetto "maestro unico". Si è detto addirittura che "Berlusconi" voglia distruggere così la scuola elementare migliore al mondo.
Vediamo però come stanno in realtà le cose.
«L'Unità» titolava il 24 settembre scorso: «L'OCSE sbugiarda la Gelmini: ottima la scuola elementare». Nel corso dell'articolo si leggeva, però, solo che l'Italia è il Paese che più spende per la sua scuola elementare (6.835 dollari per alunno, contro la media OCSE di 6.252$): dunque, «l'Unità» ha scambiato l'eccellenza con il costo, può dunque considerarsi di valore solo un servizio costoso? un criterio a mio parere assai discutibile. Interessante, per altro, un dato tratto dal Libro bianco di Fioroni, che cito testualmente: "È più alta in Italia rispetto ad altri Paesi, sia per la matematica, sia per la lettura, la percentuale di studenti poveri di competenze (che non raggiungono il livello necessario per svolgere i compiti elementari)".
Ciò non solo con riguardo ai quindicenni, ma "analoghe difficoltà si segnalano, infatti, anche per gli studenti di scuola secondaria di primo grado [medie, ndr]".
Una rilevazione INVALSI del dicembre 2005 avente ad oggetto studenti di prima media non a caso rilevava che solo uno studente su quattro sapeva calcolare il perimetro di un triangolo (che personalmente imparai alla scuola elementare), due su tre ignoravano la forma di un triangolo rettangolo, uno su tre ha sbagliato addirittura le addizioni con calcoli decimali. Già questi dati dovrebbero far riflettere chi parla di scuola elementare ottima.
Vi sono però altri dati interessanti. Il TIMSS 2007, che analizza i risultati ottenuti dagli studenti di quarta elementare in matematica, colloca il nostro Paese al quindicesimo posto su 22 Paesi partecipanti al test, pensate dopo Cipro e la Repubblica Moldava, con un arretramento notevole rispetto agli anni Settanta. Ma soprattutto, a fronte di Paesi che hanno il 38% di alunni che raggiungono rendimenti avanzati, l'Italia è fanalino di coda con solo il 6% di studenti con prestazioni di eccellenza.
Non diversamente nelle scienze. Se, infatti, Paesi come la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e il Giappone oscillano fra il 12 e il 15 per cento di studenti che hanno livelli avanzati di prestazioni, l'Italia si colloca appena sopra la media con il 9%. Come sottolineano i rapporti internazionali, la scuola elementare italiana manca di "politiche educative che incentivino l'eccellenza negli studenti".Con riguardo alla lettura le cose stanno diversamente: siamo all'ottavo posto. Ma se andiamo a leggere la rielaborazione dei dati fatta da Mauro Laeng e da Aldo Visalberghi su analoghe rilevazioni internazionali degli anni Settanta vediamo un arretramento di ben tre posizioni: negli anni Settanta eravamo al quinto posto.
Lascio agli intelligenti lettori le conclusioni in merito ai dati e fonti da me citati.
Il maestro unico
Che la scuola elementare italiana con il maestro unico fosse fra le migliori d'Europa lo riconosceva esplicitamente l'onorevole Soave del PCI-PDS intervenendo in Aula alla Camera in sede di dichiarazione di voto sulla legge che introduceva i tre maestri nel 1990. Insomma, una prima conclusione è che con i tre maestri, nonostante la enorme lievitazione dei costi, i risultati non sono migliorati anzi sono persino peggiorati. Ciò spiega perché nessun Paese europeo abbia adottato il modulo. In alcuni Paesi europei vi è semmai un insegnante prevalente che svolge 1'80-90 per cento della didattica e insegnanti con competenze particolari (lingua straniera, informatica). Un altro mito da sfatare è la maggiore preparazione professionale di docenti che si dedicherebbero all'insegnamento di discipline specifiche: come noto infatti la preparazione degli insegnanti elementari non è disciplinare ma unitaria. Questo proprio perché, come ben sanno i pedagogisti, alle elementari conta soprattutto l'organicità dell'apprendimento e la unitarietà dell'indirizzo educativo e culturale. Insomma quello che si deve evitare semmai è una differenziazione educativa che rischia di stordire e confondere l'alunno. In un bell'editoriale sul Corriere della Sera, Giuseppe de Rita ha giustamente sottolineato, difendendo la scelta di tornare al maestro unico, che i nostri bambini hanno bisogno di un maestro che sappia e cito testualmente l'autorevole giornalista: "Ricentrare la scuola elementare sulla sua primordiale funzione di formazione e di sentimenti. Hanno bisogno pertanto di qualcuno che li aiuti ad operare una sintesi, e per questo hanno bisogno di una necessità di certezze e di chiarezza di riferimenti, piuttosto che di una dispersione specialistica".
Ma allora qualcuno giustamente si domanderà: "Come si è arrivati ai tre maestri?"
Perché dunque è stato introdotto in Italia il modulo con i tre maestri? Sono andato a rileggermi l'intervento di Ortensio Zecchino, all'epoca senatore democristiano e poi ministro dell'università nei Governi D'Alema e Amato, che votò contro la legge del 1990 voluta fortemente dalla sinistra democristiana e condivisa ideologicamente dal PCI-PDS. Affiorano considerazioni più che mai attuali: "La riforma che ci apprestiamo a varare consegna al Paese una scuola elementare che con la sua nuova organizzazione contrasta con la pressante esigenza del nostro tempo di offrire un sapere unitario, quale valore etico ed insieme esigenza utilitaristica legata quest'ultima alla flessibilità professionale che sempre più spesso si impone nell'arco di una stessa vita lavorativa e che può essere soddisfatta soltanto sul presupposto di un'autentica formazione di base". E ancora: "frantumiamo l'insegnamento per affidarlo ad una pluralità di insegnanti con identica preparazione di base".
Ed ecco arrivata la risposta alla nostra domanda: alla base del modulo vi è "la pressione di quanti hanno inteso così tutelare in modo improprio interessi di categoria (...) stando così le cose - diceva Zecchino - non resta che prendere atto dell'esistenza di uno schieramento che ha inteso privilegiare il momento sindacale svalutando il momento formativo e culturale". Era la stessa ispirazione di altre leggi che in quegli stessi anni hanno, quelle sì, devastato la scuola italiana imponendo un reclutamento fondato su corsi abilitanti di poche ore, prescindendo dal merito e dalla selezione.
La pedagogia che ha ispirato il modulo con i tre maestri, al di là di qualche buona intenzione, ha finito comunque con l'esprimere una tendenza verso il relativismo culturale e verso la banalizzazione della professionalità, direi pure che ha favorito lo scadimento della professionalità. Era la pedagogia che ispirava soprattutto la posizione del PCI-PDS che si risolse a votare contro la legge del 1990 solo perché essa conteneva la figura dell'insegnante prevalente che, leggo testualmente nell'intervento del Capogruppo comunista in Commissione: "svalutava la rilevanza del lavoro di gruppo" e prevedeva livelli differenziati di impegno didattico fra i maestri. Proprio per venire incontro alle critiche dei comunisti e alle pressioni sindacali la circolare attuativa violò la legge (perché la legge del 1990 introduceva il maestro prevalente e non il modulo) ed eliminò la figura dell'insegnante prevalente imponendo il team di insegnanti con pari competenze ed impegno. Una circolare attuativa che sotto il ricatto dei sindacati e del Partito Comunista violò una legge dello Stato.
Le perplessità sul modello a tre maestri
Le perplessità su questo modello organizzativo erano emerse del resto già nella 7a Commissione del Senato nella XIII legislatura, all'interno della stessa maggioranza di centrosinistra. In una risoluzione votata nel maggio 1997 si legge che "occorre ovviare ai rischi di frammentazione e secondarizzazione dell'insegnamento elementare". Dopo aver quindi rifiutato l'eccesso di specializzazione, si sottolineava come "ai fini della qualità del rapporto educativo fra insegnanti ed alunni va risolto il problema della necessità di contenere entro limiti accettabili il numero delle figure docenti che intervengono per gruppi di alunni".
Persino nel Libro bianco di Fioroni si legge un passaggio interessante, laddove, dopo aver stigmatizzato l'enormità della spesa per studente, si osserva che essa deriva fra l'altro da specifiche previsioni normative e al riguardo si fa riferimento esplicito "all'organizzazione dell'insegnamento nella scuola elementare", concludendo che questa spesa molto elevata "è il segno di problemi e di notevoli spazi e opportunità di miglioramento nella allocazione delle risorse".
Insegnante prevalente affianco ad insegnanti specialisti
Ancora qualche riflessione: già i fautori della riforma sostenevano che il modulo era necessario per affrontare la vera novità rispetto alla scuola del passato. L'insegnamento della lingua inglese: inglese ed aggiungo io informatica e in ottica europea magari anche un'altra lingua straniera, sono autentiche novità educative, novità che danno vita anche in alcuni Paesi europei all'affiancamento di specialisti rispetto al maestro unico. Proprio a questo riguardo tuttavia il decreto Gelmini chiarisce che non spariranno gli insegnanti specialisti, affiancheranno quello che appare dunque come un insegnante prevalente e non come un maestro unico. L'articolazione dei quadri orari su 24, 27 e 30 ore settimanali a scelta delle famiglie, a cui va aggiunto il tempo mensa, impone del resto la presenza di docenti specialisti.
La manovra finanziara vuole valorizzare l'impegno e la preparazione degli insegnanti.
Il Libro bianco conferma semmai a p. 11 una valutazione ampiamente diffusa su ciò che serve veramente al miglioramento del nostro sistema scolastico. "Le indagini internazionali - si legge - suggeriscono che l'efficacia dell'azione educativa è determinata in modo decisivo da forme integrative della retribuzione degli insegnanti, fondate sul merito, mentre non risulta rilevante - lo afferma testualmente il Libro bianco - a tale fine, la diminuzione delle classi ed il numero di ore di insegnamento". Dunque valorizzare i professori, il numero delle classi ed il numero di ore non è decisivo...
E qui tocchiamo due punti invece decisivi: la manovra finanziaria ha stabilito che il 30% delle risorse risparmiate con i tagli di organico, fra cui quelli legati all'introduzione del maestro prevalente serviranno a valorizzare economicamente l'impegno e la preparazione degli insegnanti. Si tratta di una cifra enorme: 2 miliardi e 300 milioni di euro, quando l'aumento concesso dal contratto Moratti, il più remunerativo degli ultimi quindici anni per i docenti, fu di 800 milioni di euro da distribuire a tutti. Qua 2 miliardi e 300 milioni di euro. È una autentica svolta che dovrebbe consentire di pagare finalmente di più gli insegnanti meritevoli. Perché detto fuor di metafora la scuola prima di tutto è ora che faccia a meno di docenti che scaldano la poltrona durante le ore di lezione e non insegnano nulla di costruttivo ai nostri figli, anzi semmai ne rovinano l'educazione e la preparazione...
Infine, proprio l'art. 4 del decreto Gelmini afferma testualmente che "Una parte delle risorse risparmiate a seguito della soppressione dei moduli saranno destinate ad aumentare il tempo scuola sulla base delle richieste delle famiglie". Dunque, il maestro prevalente non pregiudicherà, anzi favorirà ancora più di oggi le madri lavoratrici che hanno necessità di un sistema scolastico che accolga i loro figli nelle ore pomeridiane.
Personalmente spero che il decreto Gelmini non sia solo un passo fine a se stesso ma l'inizio di un cammino che porti passo dopo passo a modifiche sostanziali di cui la scuola e l'Università sentono vivo il bisogno.
Da Studenti, da genitori, da cittadini ci dovremmo preoccupare di difendere il nostro diritto allo studio, il diritto al Sapere, di difendere futuro dei nostri figli.
*Studente di Scienze Politiche
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